Duecentocinquanta chilometri

 


Ad agosto 1999 spedisco un pò di curriculum. Mi risponde la segretaria di Marco Agosta allora titolare (insieme al fratello) della Mecof di Ovada chiedendomi se potevo aspettare fino al ritorno di Agosta dalle ferie. A settembre ci incontriamo, a ottobre inizio a lavorare in Mecof.
DUECENTOCINQUANTA chilometri al giorno. Ogni giorno.
Macchine un pò diverse dalla Mandelli, ma i concetti (e i problemi) sono sempre gli stessi.
Più uno, lo slittone.


A Natale mi chiedono qualche nominativo per riorganizzare i metodi di lavoro e io suggerisco l'Ing. Vecchio, mio ex direttore in Mandelli e così ci ritroviamo di nuovo a lavorare insieme.
L'ambiente è piacevole, si lavora bene e così i duecentocinquanta chilometri al giorno passano in secondo piano e non pesano più di tanto.
Unico inconveniente ... un pieno alla macchina ogni TRE giorni !
La vita però è sempre piena di sorprese e così al terzo anno un'azienda mi propone di gestire un piccolo ufficio tecnico a pochi passi da casa. Il titolare è una splendida persona, il programma di lavoro è decisamente accattivante e così, a malincuore, lascio la Mecof.
Non potevo immaginare cosa sarebbe poi successo ...

Si chiude una porta, si apre un portone


La Mandelli cambia di nuovo proprietà e la nuova direzione mi incarica di coordinare il progetto di una nuova macchina, per Mandelli decisamente innovativa. Inizialmente sarà "Mandelli 500", ma poi diventerà Thunder 500. 
Ma ancora cassa integrazione, scioperi, mobilità e a luglio 1999 la mia avventura in Mandelli finisce. Probabilmente non mi sono guardato bene alle spalle. E si riparte di nuovo.



Chi è arrivato dopo di me, non so per quale motivo (ma è facilmente immaginabile), ha deciso di buttare tutto e di fare una macchina concettualmente completamente diversa. Scelta che personalmente non ho mai condiviso per molti motivi e che, a mio parere, ne fanno una macchina costosa con tempi lunghi di installazione. 
Altro motivo che ritenevo significativo è che (a parità di dimensione pallet)  nessun costruttore presentava una tipologia di macchine simili per cui mi veniva da pensare che o sei un genio o sei un pò fuori strada.
Ma di genio delle macchine utensili in tanti anni io ne ho conosciuto uno solo, Armando Corsi. L’ho conosciuto in Secmu, a Pontedell’Olio dove si costruivano le “fresalesatrici” e insieme a lui ho conosciuto l’Ing. Pagani, persona di una capacità e una umanità incredibili che anni dopo mi suggerirà il logo per l’azienda che avrei creato.
La macchina utensile di allora veniva dalle alesatrici, macchine pesanti, potenti, generalmente con montante fisso e tavola girevole di grandi dimensioni montate sugli assi X/Z a croce dove il cambio utensile (almeno agli inizi) lo faceva manualmente l’operatore.
Le fresalesatrici di Pontedell’Olio erano più snelle, più veloci, sempre con montante fisso e testa laterale a sbalzo e gli assi X/Z a croce, ma senza tavola girevole. E quella è stata la mia fortuna visto che proprio Secmu mi ha spinto a costruire tavole girevoli, ma questa è un’altra (lunga) storia.
E proprio dall’azienda di un grande personaggio che è stato il suo titolare Carlo Conti, insieme a Rossi & Pezza, duo indivisibile che anni dopo mi avrebbero poi  supportato nella mia avventura di imprenditore, è nato quello che sarebbe poi diventato il controllo numerico.
Ma torniamo a Armando Corsi. Quella azienda inizia a stargli stretta, la sua voglia di fare innovazione lo spinge ad andarsene ed è dalla sua matita che nascono le macchine Mandelli.
E la sua matita porterà la Mandelli a primeggiare nel mondo.
Ma spesso i grandi geni sono incompresi infatti passano gli anni, lascia la Mandelli e disegna un centro di lavoro che, ancora una volta, non ha niente di simile a quanto c’è sul mercato.
Il montante (appeso ad una struttura fissa) non si muove più in Z, ma in X perché è lui stesso che porta la testa a prendersi l’utensile e la tavola girevole non si muove più in X, ma in Z perchè è lei che porta il pallet allo scambiatore riducendo enormemente i tempi passivi.
Si chiamerà Quota 10. Il mercato però non l’ha mai voluta e dopo pochi anni passerà alla Graziano tramite la Olivetti e poi dimenticata per sempre. Ora, a distanza di quarant’anni praticamente tutti (o quasi) i centri di lavoro sono fatti su questo concetto.
Per darvi un’ultima informazione di cosa è stato quel grande personaggio posso aggiungere che qualche anno fa un grandissimo costruttore giapponese ha presentato un centro di lavoro dove (per poter lavorare la quinta faccia) la tavola girevole ruota su un piano inclinato di 45°. Un concetto che sempre Corsi aveva già disegnato oltre quarant’anni fa, si chiamava Quasar.

Ma torniamo al centro di lavoro a cui accennavo all’inizio. Come ho detto non ne condividevo l’idea di averlo abbandonato anche se sicuramente ci saranno stati validi motivi tecnici per farlo, però io, al contrario, l’avrei prima sviluppato in tutta la sua potenzialità.

Avrei iniziato a definire le parti che sarebbero rimaste fisse in tutte le diverse configurazioni. Senz'altro il basamento, ma anche la tavola girevole, tutta la struttura che porta lo scambiatore pallet, le tendine dell'asse X e tutto il box.
Stesso trasportatore trucioli e tutta la parte di impiantistica posteriore.
Avremo quindi sempre lo stesso ingombro, lo stesso layout, le stesse necessità di trasporto. 
Per una seconda configurazione avrei tolto la grande struttura fissa che portava le guide dell'asse X e adottato una soluzione con un montante più "tradizionale".




Questo (sopra a sx) poteva essere il risultato ottenuto sulla stessa struttura della macchina di partenza, e non poteva andare a competere con la macchina a dx di un altro importante costruttore piacentino ? 



Togliendo la testa H, montando una testa U (orizz./vert.), non poteva essere la macchina a dx senza spendere tempo, risorse e soldi per farne una nuova ?

Cambiando ancora. Montando una struttura fissa con una traversa in Y e la testa che si muove in X, non poteva competere con la macchina a dx sempre nata a Piacenza ? ATTENZIONE, mi riferisco sempre al concetto di macchina nella sua struttura e so bene che a dx c'è rappresentata una tavola con due viti a sfere, ma in rete non ho trovato altre foto (le foto le ho recuperate su Google e restano dei legittimi proprietari).

Potevamo esagerare ed immaginare un secondo basamento dove la tavola girevole è fissa e la testa ha uno slittone (RAM) e usando le diverse tipologie di montanti precedenti potevamo magari competere anche con altri, come il costruttore qui a dx.


O confrontarci con il mercato delle bimandrino (magari per lavorare valvole globe e gate per il mercato petrolchimico) usando ancora la stessa struttura che porta il montante e sullo stesso basamento precedente e competere con quest'altro costruttore. 


Ma si poteva anche pensare di adottare due montanti leggeri ed indipendenti e competere con le macchine di Comau (il riferimento è ovviamente a quello che si costruiva in quegli anni).


Si poteva provare a competere anche con altri costruttori come quello a dx semplicemente rispolverando il basamento con le guide disassate ed il montante tradizionale usato all'inizio.


Oppure montare una testa ad esapodo sullo stesso montante precedente, sullo stesso basamento e con la stessa tavola girevole, magari per lavorare piccoli pezzi dedicati all'aeronautica o piccole turbine.


Ecco, io prima di buttare il progetto iniziale ne avrei valutato queste potenzialità, ma probabilmente qualcuno lo avrà fatto e magari lo avrà giudicato antieconomico, ma non è certo un buon motivo per buttare tempo, soldi e anni di lavoro.